Torna Sanremo stasera e, in milioni e milioni, si metteranno a guardarlo. Ho concordato con Alida che sarò anch'io spettatore fino alle dieci e mezzo, dopodiché, in un'altra tv di casa, mi metterò a vedere un bel western o action su Sky, Netflix, Prime o che altro o, se c'ho voglia, a scrivere su fb. Per i sessantottini del Pci come me, ma per tutti i sessantottini, Il Festival di Sanremo rappresenta la parabola di una vita. Ricordo gli anni '70 nei quali venne messo sotto accusa e travolto dalla Contestazione. Gli si rimproverava il carattere commerciale e competitivo. Il lancio di uova merce si sprecava contro i grandi Teatri d'Opera, ritenuti l'ostentazione e il privilegio della borghesia negato al popolo e contro Sanremo, imbonitore dei telespettatori, monopolio e mercato di una espressione artistica che avrebbe dovuto dare a tutti pari dignità ed essere sottratta alla logica del profitto. Personalmente penso che quei motivi di lotta culturale e politica erano validi allora e lo sarebbero, nella sostanza, ancora oggi. Sinceramente non seguo più le evoluzioni della musica leggera e, fermo come sono agli anni '70, non so se ci sono nuovi fermenti come ci furono allora, o se vigono le stesse logiche di mercato. Di sicuro il ritorno di Sanremo ha segnato la Restaurazione anche in campo musicale. Il bel canto torna a consolare i lavoratori della perdita del lavoro, dello stipendio, dei diritti sociali.
Ma lasciamo perdere, per un momento questi discorsi. Mi hanno detto che Morandi, Ranieri e altri della vecchia guardia canteranno subito. Farò in tempo ad ascoltarli. Domattina cominceremo a ripensare alla Rivoluzione.
