Ci sono una serie di domande che mi frullano in testa e che vorrei rivolgere agli ex comunisti del Pd. Come è possibile che vi siate ridotti ad accogliere come un salvatore della patria un democristiano liberale conservatore? Che c'è da sperare da lui? Da chi pensa di prendere i voti il Pd dal momento che, in una crisi pandemica e sociale mai vista, la sua preoccupazione principale è quella della rappresentanza femminile, dello ius soli (con tutto il rispetto) e della cannabis? Come si può rianimare il partito non parlando di politica, strategia e identità? Cioè come sta facendo Letta che fa aprire i circoli e gli invia una raccomandazione, volontaristica ed astratta, a comportarsi meglio (?) che nel passato. Come si può, in Umbria, non mettere in relazione la crisi devastante del Pd, che sembra preludere ad un dissolvimento, con la perdita della gestione del potere? E come si può pensare di risollevarne le sorti continuando, stancamente, moralisticamente e inutilmente, ad indicare gli effetti della crisi (il correntismo, i leaderismi, le lotte fratricide) come le cause di essa, che risiedono invece nelle scelte politiche e strategiche si sono seguite in Umbria e in Italia. Come si può non rimettere in discussione il fallimento della scelta originaria del Pd di venti anni fa (di tenere insieme in uno stesso partito identità irriducibili) e, conseguentemente il carattere liberale di esso e i miti di questi anni, dal maggioritario, al presidenzialismo, al partito liquido, all'assunzione del liberismo come cultura guida? Chi risponde?